ASCOLTO ATTIVO (ovvero l’arte di ascoltare)

Ascolto CAV Giulia caldiero

Dio ci ha dato due orecchie ma una sola bocca.
Alcuni dicono che è perché voleva che passassimo
il doppio del tempo ad ascoltare
invece che a parlare.
Altri sostengono che è perché sapeva che
ascoltare è due volte più difficile che parlare”.

 

 

Le parole di questo autore Anonimo aiutano a comprendere la valenza dell’ascolto nel suo pieno significato: 

- assumere il punto di vista dell’altro;
- sintonizzarsi profondamente con lo stato emotivo dell’altro;
- fare spazio dentro di se per accogliere l’altro;   

Ascoltare in modo attivo significa assumere il punto di vista dell’altro, sia pure
temporaneamente e provvisoriamente. Se una persona mi parla posso dire che sono in ascolto
solo se presto attenzione alle sue parole e cerco di comprendere la rete di significati che esse
acquistano in relazione alla sua visione del mondo.

Ascoltare in modo attivo significa quindi sintonizzarsi profondamente con lo stato
emotivo dell’altro e lasciarsi coinvolgere e interrogare da quello che ci proviene da lui. Dal
momento che le emozioni sono una diretta conseguenza del significato che la persona
attribuisce alla realtà, possiamo dire che in questo senso ogni vero ascolto è un ascolto
empatico.

Ascoltare in modo attivo significa “fare spazio dentro di se” per accogliere l’altro,
ovvero accettare di farsi cambiare dal dialogo instaurato e far tacere se stessi per dare la
precedenza all’altro.

Molto spesso crediamo di ascoltare un’altra persona ma in realtà siamo centrati sul
nostro dialogo interno (quello che con una immagine metaforica e scherzosa chiamo “i
criceti”). Mi dico ad esempio: "Qui ha ragione, qui ha torto", o: "... potrei rispondergli così e
così...". E così posso diventare insofferente se l’intervento dell’altro si prolunga oltre un certo
limite, in quanto temo che mi possa sfuggire dalla mente ciò che ho da dirgli. In tali casi il mio
comportamento è sorretto dalla presunzione implicita che il mio punto di vista sia più corretto,
più “vero” e in ogni caso rivesta una rilevanza maggiore rispetto al punto di vista del mio
interlocutore. Agisce in me, inoltre, un’altra presunzione determinante: il trascorrere del tempo
come occasione perduta, dispersione (tempo perso!), lutto, anziché come nuova possibilità,
occasione per apprendere, integrazione di diversità.
Ascolto, accettazione e accoglienza, si possono definire le 3 A dell’educare, sono
concetti inscindibili, che si implicano reciprocamente: non c’è ascolto senza accettazione e
accoglienza, come non ci può essere vera accettazione e accoglienza senza ascolto.

In conclusione, riprendendo le parole di Carl Rogers, voglio proporvi un piccolo
“esperimento” per saggiare la qualità del vostro ascolto e, quindi, della vostra comprensione.
La prossima volta che avrete una discussione con una persona, fermatevi e ponete questa
regola: ognuno non può esprimere la propria argomentazione se non dopo aver
preliminarmente riesposto le idee e le sensazioni dell’interlocutore con esattezza e con la
conferma di quest’ultimo. “Questo vorrebbe dire semplicemente che, prima di presentare il
proprio punto di vista, sarebbe necessario assimilare il quadro di riferimento dell’interlocutore,
per comprendere le sue idee e le sue sensazioni, così da essere in grado di poterle riassumere
al posto suo. Semplice, vero? Ma, se fate la prova, scoprirete che è una delle cose più difficili
che abbiate mai tentato di fare.

Il testo è tratto dal libro:
Andrea Farioli – Creativ, Api, leoni, gechi e leprotti. Metafore dialoghi e attività per educare ed educarsi, Paoline,
2007